Le parole contano
Nella comunicazione medico-paziente può essere importante:
- Un’adeguata scelta, anche temporale, delle parole utilizzate, dove il termine “leucemia” possa essere proposto al paziente anche a metà o alla fine del colloquio.
- Spogliare il termine leucemia del connotato fortemente negativo associato, in questo caso non presente.
- Utilizzare eventualmente anche la dicitura di disordine linfoproliferativo indolente, quale è la LLC.
- Lavorare, in un futuro, per “derubricare” o modificare la definizione diagnostica.
- Rimarcare il concetto di cronicità, dunque l’ampia speranza per il futuro, e mai utilizzare la parola fine.
Anche il medico ha le sue difficoltà
La “qualità della vita” professionale dell’ematologo non è sempre ottimale. Questo avviene per:
- Mancanza di tempo, dovuta in ampia parte al sovraccarico burocratico: secondo una recente indagine1 le attività amministrative occupano fino a quasi la metà (il 47%) del tempo dello specialista.
- La necessità di rispondere alle esigenze cliniche e informative di numerosi pazienti contemporaneamente, anche tramite canali non convenzionali quali whatsapp.
- Il mancato collegamento con il medico di famiglia, che non sempre fa rete con l’ematologo.
- Una preparazione e/o gestione non ottimale del paziente, che non porta con sé i referti precedenti o che, al contrario, fornisce un’eccessiva e superflua documentazione.
- La gestione del paziente scettico, oppositivo o che, dopo essersi documentato in rete, pretende di conoscere la materia meglio dello specialista.
Favorire l’empatia
L’alleanza terapeutica tra medico e paziente è un elemento fondamentale che può influenzare l’aderenza terapeutica e il buon esito delle cure.
- Una comunicazione efficace favorisce la creazione di un rapporto di fiducia e stima tra medico e paziente.
- Il medico può tenere conto che dietro ad un atteggiamento che in qualche modo non risulti collaborativo si cela paura oppure comunque una comprensibile fragilità.
- Nel contesto e con i modi più opportuni il medico potrebbe condividere con il paziente alcune di queste difficoltà, anche per favorire un atteggiamento empatico e maggiormente comprensivo (per esempio in caso di ritardo) che cementa anche l’alleanza terapeutica.